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In pandemia siamo tutti più sportivi

A parte le definizioni scientifiche, la pesca ricreativa ne ha altre di tipo politico. Il loro fondamento è principalmente la motivazione della pesca. Una cosa da non confondere con le prescrizioni tecniche dei regolamenti, che non serve ai pescatori ma ai decisori. Per definire la pesca non commerciale i termini più utilizzati sono ‘ricreativa’, ‘sportiva’, ‘dilettantistica’, ‘amatoriale’, che da soli non bastano a specificare  l’aspetto politico di finalità della pesca. Si può allora considerare la pesca come attività sportiva, ludica, alimentare. Le tre cose possono benissimo stare insieme, ma la loro distinzione delimita il campo del non commerciale. La cosa è improvvisamente diventata interessante quando in regime di pandemia doveva essere deciso se la pesca non commerciale fosse ammessa. Le definizioni però sono in questo caso quanto mai aperte a interpretazioni di senso. La più importante nella crisi delle chiusure è stata quella di sport che, se estesa a tutta la pesca non commerciale, anche se non competitiva e non legata a organizzazioni che si occupano di competizioni, avrebbe permesso di andare a pesca nei limiti territoriali stabiliti.
Alla fine è stata una proclamata grande vittoria delle associazioni, che sono riuscite, con un lungo assedio ai bunker ministeriali, a far passare la pesca ricreativa dalla astratta definizione generale di ‘ludica’ (per semplice divertimento, ovviamente superfluo quindi da vietare) a quella sacralizzata di ‘sport’ (come correre su un viale anche senza essere agonisti, che comunque fa bene alla salute). Dei significati della parola sport ci sarebbe da parlare meglio ma, già a prima vista, suona al passo con i tempi che lo sport sia di per sé virtuoso, il divertimento, al meglio, poco meno che peccaminoso. Pescare per mangiare il pesce invece non è neanche considerato, forse ritenendolo un’appendice al divertirsi, il che spesso è vero ma non sempre e anche su questo ci sarebbe da discutere da più di un punto di vista. La definizione di ricreativa è quella più comprensiva, contenendo, nelle fonti normative più autorevoli, quella di sport al suo interno ma, come abbiamo visto, può essere facile considerare la ‘ricreazione’ un concetto sovrapponibile a quello di ‘ludico’. Tanto che, alla fine, la possibilità di andare a pesca ha richiesto un capovolgimento della gerarchia definitoria, per cui la pesca non commerciale è diventata tutta sportiva. Una logica ineccepibile per le burocrazie, che hanno dovuto almeno riconoscere che andare a pesca è un’attività fisica come andare a correre sul viale sotto casa. Ottimo, per la logica comprensiva che applica a tutta la pesca ricreativa il bollino di sportività.  La vittoria è stata utile, con la canna da pesca in mano possiamo fregiarci davanti alle istituzioni di fare sport con la esse maiuscola.
Ciò nonostante il concetto sotteso mostra diverse insidie che potrebbero manifestarsi in varie forme con la ripresa delle attività consuete e su questo sarebbe davvero utile un approfondimento serio nelle sedi opportune. Che poi sono le stesse che hanno concesso il festeggiato allargamento di definizioni, sedi che a tutti noi resta facile immaginare come costituite da una serie di trincee intramezzate da barriere di filo spinato e mine anti pescatore ricreativo… Un nostro profeta ispirato potrebbe dirci che verrà il giorno in cui la pesca ricreativa avrà bisogno della sola eccezione del commercio del pescato e che pescare per sport, per divertimento o per mangiarsi un pesce saranno la stessa identica cosa una volta che si rispettino i regolamenti (e che i regolamenti siano decorosi). A dire il vero, povero profeta, ciò è praticamente già realizzato nelle definizioni scientifiche, a parte che anche in esse si dà per scontata e quindi taciuta la finalità alimentare. Le due maggiori dizioni di pesca ricreativa e sportiva hanno ottimi valori, ma anche un’evidente contraddizione interna nell’uso dei termini che separano del tutto la pesca non commerciale dalla motivazione originaria dell’attività di prelievo di risorse ittiche. Ovvio e scontato che molti pescatori mangino pesci che catturano, ma l’aspetto alimentare è di fatto rimandato ai regolamenti mentre ricreazione e sport vengono in qualche modo garantiti a prescindere, in modo perfettamente funzionale alla conferma del confine tra fine alimentare, appaltato alla pesca commerciale, e pesca per svago. Una logica che sembra consolidare la base teorica sulla quale la pesca commerciale esercita la propria prelazione sulle risorse.
Il problema vero per tutto quello che è accaduto dall’inizio delle chiusure è che avrebbe dovuto essere riconosciuto subito che la pesca ricreativa, senza bisogno di doverla definire sportiva, anche se fa spostare i pescatori da un luogo all’altro, è un’attività che minimizza  i rischi di contatto tra persone. Che poi ci faccia un gran piacere condividere la pesca con gli amici di sempre, potrebbe o avrebbe potuto essere, peraltro, un forte impulso positivo per rafforzare i sistemi immunitari dei pescatori depressi dallo stare chiusi in casa a guardare la curva dei contagi a reti unificate.

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