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Bracconaggio minore

Il tema del bracconaggio è stato negli ultimi anni il più importante per la pesca ricreativa in acque interne. Al punto di arrivare sui maggiori canali di informazione e di coinvolgere direttamente le forze dell’ordine. Questo ovviamente a partire dai luoghi dove il fenomeno aveva assunto dimensioni disastrose. Certo è più difficile contrastare il bracconaggio dove questo si manifesta in modo più frammentato e vario. Quando i fenomeni sono continuativi è più facile che se ne venga a sapere e a farlo molto spesso sono i pescatori. Voci che di solito cominciano a circolare e sembra sempre che gli unici a non saperne niente siano gli addetti alla vigilanza. Le risposte al problema sono tanto più probabili ed efficaci quanto più i pescatori di una determinata zona sono organizzati e motivati. Ad esempio è difficile che azioni di bracconaggio abbiano vita facile in una riserva da trote, mentre in molti fiumi, tanto più se degradati, mancano le forze attive per vigilanza e contrasto. Le polizie locali che hanno questo tipo di controlli nel mansionario sono solitamente indirizzate su una varietà di altre funzioni. Se ci si aspetta che anche solo una segnalazione debba bastare a far intervenire i controlli, quasi sempre non succede niente, la cosa non interessa abbastanza e richiede di norma un particolare impegno di risorse. Per questo tipo di bracconaggio, soprattutto in acque interne, spesso non conta molto cosa si pesca, ma ci sono eccezioni e alcune di esse dovrebbero smuovere anche le poltrone politiche delle amministrazioni locali. Una per tutte l’anguilla, che configura un bracconaggio la cui gravità supera quanto previsto dai regolamenti di pesca visto il particolare status di protezione della specie.
Per il mare manca ancora la più volte richiesta attribuzione di competenza, anche se limitata, alla vigilanza volontaria e una lunga serie di riscontri sembra indicare come l’unico modo per attivare controlli efficaci da parte delle Capitanerie sarebbe quello di ordini perentori e inequivocabili dall’alto. Se è chiaro a tutti che in certi ben noti periodi e momenti si verificano certi ben noti fenomeni di bracconaggio, in molti casi sarebbe estremamente facile contrastarli con banali controlli agli sbarchi nei momenti giusti.
Ammessi scarsità di forze e difficoltà organizzativa da parte delle polizie locali, sembra evidente che la questione bracconaggio continui a essere trattata, di norma, in modo superficiale. La maggior parte dei fenomeni, soprattutto la maggioranza di quelli più gravi, sono infatti concentrati in precisi momenti e circostanze e molto spesso conosciuti in giro e facili da individuare. Il contesto è molto difficile da far evolvere e potrebbe forse esserlo, almeno per le acque interne, solo partendo da una riscrittura di alcuni riferimenti normativi, il che evidenzia i problemi derivanti dalla competenza regionale in tema di pesca. Ovvero, sui principali temi di interesse diffuso e comune sarebbe indispensabile uniformare i modelli sui quali le Regioni possano elaborare le proprie politiche locali. Indipendentemente dalle competenze, una maggiore efficacia contro i fenomeni di bracconaggio potrebbe venire, insieme a una ripresa degli incentivi alla vigilanza volontaria organizzata, da un sistema di compensazione degli spazi di fruizione. Un sistema per il quale i pescatori siano fortemente incentivati all’attività associativa sul territorio, compensando concessioni e istituti per zone di pesca riservate o ad alta gestione con attività su porzioni di bacino adiacenti o collegate. Pensare un meccanismo simile nella logica della vigilanza estesa è certamente irrealistico, ma quello che invece potrebbe renderlo attuabile è la natura puntuale, specializzata e stabile della maggior parte delle emergenze di medie e piccole dimensioni, il che prospetterebbe una facile gestione organizzativa, un basso carico di impegni e un eccellente rapporto tra energie impiegate e risultati ottenibili, ammesso un efficace coordinamento con le strutture di vigilanza istituzionali.

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